Archiviata inchiesta su neomelodico Niko Pandetta, nipote del boss mafioso Turi Cappello

Sul neomelodico catanese Vincenzo “Niko” Pandetta pendeva un’inchiesta e le relative indagini per istigazione a delinquere. Il cantante è il nipote dello storico boss mafioso Turi Cappello. Il Pm ha archiviato l’inchiesta su Niko Pandetta dichiarando i testi musicali facenti parte della subcultura ma non nella fattispecie reato.

Secondo la nota della Procura di Catania, relativa alla richiesta d’archiviazione disposta dal Gip dell'inchiesta per istigazione a delinquere sul cantante Niko Pandetta, il successo di alcuni esempi di canzone neomelodiche «si palesano quali espressioni di una subcultura che non può censurarsi per ciò solo, se non accompagnata da esplicite condotte emulative che si richiamano espressamente ad essa».

Tre gli episodi contestati: un video su Facebook del 6 giugno del 2019 in cui «prendeva le difese dello zio», a suo dire «accusato ingiustamente da “pentiti di mafia”», e in cui «proferiva espressioni ingiuriose e minacciose nei confronti degli intervenuti ad una puntata della trasmissione televisiva Realiti ed in particolare del consigliere regionale della Campania Francesco Borrelli»; una sua esibizione a concerto non autorizzato, «davanti a 200 persone, organizzato in onore di Marco Strano, esponente del clan Cappello-Carateddi, all'epoca detenuto»; e un video su TikTok in cui affermava, tra l'altro, «lo capisci che sei sbirro, o non lo capisci?» e imitava con «la mano sul collo il gesto del taglio della gola» ai danni di una persona che aveva denunciato un familiare del cantante.

Niko Pandetta, sentito dai Pm, ha spiegato di "essere cambiato e cresciuto" e di "rendersi conto di avere tenuto comportamenti biasimevoli". Sullo zio boss, ha spiegato che lui gli manda dal carcere, dove è detenuto in regime di 41bis, delle poesie che sono sottoposte al visto di controllo. Sul video di TikTok ha sostenuto che era collegato a una lite con un automobilista che aveva fatto intervenire la polizia stradale.

La Procura di Catania ha ritenuto che "la versione dei fatti fornita a discolpa appare verosimile" e che "in un contesto culturale ed ambientale "sui generis" si palesano quali espressioni di una subcultura che non può censurarsi per ciò solo, se non accompagnata da esplicite condotte emulative che si richiamino espressamente ad essa". Il Gip ha ritenuto "le argomentazioni e le conclusioni del PM logiche e convincenti" e ha "disposto l'archiviazione del procedimento".

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